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Aldo non pervenuto, Conor shock al #194

  • Immagine del redattore: Cage News
    Cage News
  • 13 dic 2015
  • Tempo di lettura: 2 min

Lo attendevamo da mesi. Comparsate televisive degne di Clubber Lang, prove di forza al microfono nel corso della tournée che ha portato il roster UFC in giro per otto città, spot sui social e discussioni tra i fan. Il tutto conclusosi in tredici secondi. Tredici fottutissimi secondi, lunghi un decennio.

Forse era già scritto, forse è frutto di una grande intuizione, forse è il prodotto di una dedizione ed una preparazione impeccabili. Inutile indagare, inutile dilungarsi. Non c'è commento tecnico applicabile ad un match che dura tredici secondi, che approda in gabbia dopo un'interminabile attesa. Potremmo forse descrivere le luci che si abbassano, la folla che urla quando parte "The fogggy dew", e Mc Gregor entra nell'arena. Possiamo parlare della sua faccia, degna della copertina di "Psicopatologie della vita quotidiana", del buon vecchio Freud. In qualunque caso ci staremmo dilungando inutilmente, perché quando suona il gong, fai un paio di passi in avanti, mantieni una guardia stabile e arretrata, attendendo l'avanzata dell'avversario (che puntualmente avanza), calcoli la distanza, prendi le misure come farebbe un maestro muratore, piazzi un low kick. Ma non ci interessa poi tanto: il match (pensi) sarà lungo. La fase di studio ci sta, deve essere così, perché Aldo ha i low kick che fanno invidia all'ascia di Wolverine. Pensi. Stop.

Aldo avanza, forse un po' scoperto sul lato destro. Macché scoperto, è Notorius che trova un gancio sinistro di incontro, sull'avanzata dell'ex campione del mondo dei pesi piuma: è un gancio perfetto, di quelli alla mastoide; per intenderci, sono quei ganci che ti bloccano l'afflusso di sangue al cervello per qualche frazione di secondo. E in quella frazione di secondo cadi con la faccia in avanti.

E chi è stato in gabbia, all'angolo, o al tavolo dei giudici, sa perfettamente la differenza che passa tra l'atleta che cade in avanti e quello che cade all'indietro. In quest'ultimo caso hai (forse, talvolta) ancora un barlume di speranza. Ma quando vai a baciare il suolo di tua sponta, abbracciando il mondo intero mentre ti si spengono le lucine, sai che è finita, che è successo qualcosa. Sai che non andrai a difendere gli hammer dell'avversario, per il semplice fatto che non sei più lì. Vogliamo essere plateali: il gancio di McGregor ha esorcizzato Aldo, gli ha messo l'anima fuori dal corpo, lo ha detronizzato in maniera chirurgica. E pensare che, dopo essere sparito dalla gabbia (guardate e riguardate le immagini: il gancio di McGregor sembra disegnato da Seth McFarlane ne "I Griffin"), anche il colpo di Aldo è andato a segno, sul volto del fighter irlandese. Sarà l'adrenalina, sarà che il pugno dell'ex campione ha perso almeno il cinquanta percento di potenza d'impatto dopo lo switch off. Non lo sappiamo, non siamo neanche sicuri di volerlo sapere. Tredici secondi, tredici fottutissimi secondi, per mettere la parola fine ad una delle imbattibilità più lunghe della storia delle arti marziali miste, per consegnare agli annali la leggendaria potenza dei low kick di José Aldo.

È finita. Più che l'articolo di un blog sembra di descrivere l'amarezza per aver atteso una notte, tre ore davanti alla TV per assistere al tramonto di un campione, che negli ultimi cinque incontri ha combattuto per ben cento minuti. Cento minuti e tredici secondi, questi ultimi fatali.

 
 
 

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